Maria Grazia Calandrone
Rimane valido il monito di Rilke - poeta non è quello che si fa sentire, ma quello che organizza in noi una certa quantità di silenzio. Nel primo Sonetto a Orfeo, come col flautista di Hamelin, gli animali accorrono per ascoltare, perché il poeta fa nascere un tempio nell’orecchio: “da schufst du ihnen Tempel im Gehör”, tu, Orfeo, “tu hai fatto nascere per loro un Tempio nell’orecchio”.
Va ascoltato così il silenzio liberato da Il Libro dei Liquidi.
Martin Rueff
Irene ci lascia attoniti. La questione critica essenziale è sempre il paradosso della poesia di Irene: un divenire senza alienazione, la sorpresa di un non-essere che cambia l’essere e, in questo, lo fa esistere. Bilinguismo della veglia e dei sogni, spesso le cose ordinarie vengono espresse in una lingua; spesso quelle più intime in un’altra. Ma nessuna sta in parallelo: ciascuna è sola e implode e dilata, ciascuna muore e rivive prossima all’altra, con l’effetto di un divenire ellittico, in cui la ripetizione dello stesso punto è continuamente la ripetizione di un altrove. È evidente che per Irene Santori la rêverie sia l’ultima traslazione di un’estasi nel divenire delle cose. Come dire, l’immaginazione, il suo tuffo, non nascondono la vita né la morte. Quel grande bianco è bagliore nero, è il colore-dolore del lutto, il ‘bianco pizzo di cotone’ degli ottocento uomini decapitati dai turchi che espugnarono Otranto.
Arnaldo Colasanti, Braci. La poesia italiana contemporanea, Bompiani 2021
Con i Cantiques Spirituels, tersa parafrasi di brani dell’Antico e del Nuovo Testamento, e le Hymnes..., traduzione bella e infedele di alcuni inni latini del Breviario Romano – intrapresa nell’adolescenza, rimaneggiata nell’età adulta, infine condannata per eresia giansenista –, un legame intimo e profondo unisce la giovinezza e la maturità di Racine, raccolto nella retraite dopo l’abiura del teatro. ‘Margini’ del corpus raciniano, queste poesie attraversano il cuore delle tragedie profane e bibliche.
Una sensibilità critica raffinata, un notevole bagaglio di letture, una rigorosa sorveglianza nella selezione della parola, un gusto dell’immagine inattesa. Colpisce la modernità dei riferimenti culturali, una presenza sotto traccia di letture divaganti, curiose, libere. Colpisce soprattutto l’intensa vibrazione personale con cui la studiosa si è accostata a questi testi, quasi in nome di una sua scommessa. Nel vincerla, ha arricchito di un contributo significativo gli studi raciniani in Italia.
Benedetta Papasogli
tempaccio porti
che m’accosta
e io conserta ai venti
che il largo avevo preso
in parola
Vasco Bendini, Testa 1954